La vita è vita: un bene prezioso da custodire e preservare sempre
In emergenza non si improvvisa, in emergenza si ragiona.
In emergenza gli interventi non posso essere dettati dall’impulso del momento.
Gli interventi, affinché siano funzionali alle esigenze che li muovono, necessitano di competenza e lungimiranza.
Il primo obiettivo in emergenza è mettere in sicurezza, per prevenire possibili complicazioni, per permettere lo svolgimento ottimale dell’intervento e per contenere il proliferarsi del danno.
In tempo di crisi, specialmente della crisi virale che ci sta colpendo, nessuno è immune dal contagio e dal cadere vittima del pericolo incombente, tuttavia esistono categorie di persone maggiormente esposte: i soccorritori per esempio, il personale sanitario, le forze dell’ordine, gli impiegati in attività che garantiscono la sussistenza (i commessi, gli operai, i trasportatori) che si espongono in prima linea e combattono l’attacco del nemico dalla trincea, come se si fosse in guerra.
Poi ci sono quelle fasce della popolazione normalmente ritenute “fragili” che in questo frangente lo diventano ancora di più: i poveri, le persone sole ed emarginate, i disabili, i minori, le donne vittime di violenza e gli anziani.
A queste frange della collettività dovrebbero essere garantiti i primi soccorsi ma, proprio per loro, purtroppo, non vengono applicate in maniera funzionale e tempestiva quelle buone prassi dettate dal buon senso, dall’esperienza e dalla competenza che potrebbero, in qualche modo metterli a sicuro e con loro tutti gli altri.
In momenti difficili e di forte crisi, in momenti come quello attuale che destabilizza dal profondo, minando sicurezze, progettualità e speranze non è opportuno puntare il dito e cercare gli “untori” di turno, i responsabili dell’epidemia o delle scelte sbagliate nella sua gestione.
Puntare il dito non è mai opportuno, adesso meno che mai.
Potrebbe però risultare utile ragionare su talune possibilità alla luce dei fatti, della storia passata e delle nuove conoscenze per gestire meglio l’evolversi dei fatti di cui nessuno di noi è spettatore passivo.
Esiste tuttavia una lacuna nella macchina dell’emergenza, dettata sicuramente dal sovraccarico lavorativo, dal proliferare della problematica e dalla mancanza di strumentazioni adatte che si aggiungono alle difficoltà che il sistema sanitario aveva prima dell’insorgere della pandemia ma, non può e non deve mancare l’attenzione verso quelle fasce di popolazione che più delle altre sono esposte e sono fragili.
Dunque, senza alcuna intenzione belligerosa, di attacco o di giudizio, ritengo sia opportuno mostrare una realtà che spesso è silente e probabilmente poco attenzionata, quella delle case di riposo che a torto spesso sono ritenute uno stallo che permette l’attesa di un evento ineluttabile ma che in realtà sono il luogo in cui, più di altri forse, la vita è considerata un dono prezioso da preservare e per cui essere grati.
In questo clima emergenziale dettato dal Covid-19 le case di riposo, rivelatesi a maggior rischio, per la tipologia dell’utenza che ospitano, sono state lasciate all’angolo.
Su di loro i riflettori si sono accesi solo successivamente ai numerosi decessi avvenuti al loro interno.
Purtroppo però neppure questo triste dato è bastato per avere una maggiore attenzione da parte delle autorità competenti: non sono giunti adeguati e sufficienti dispositivi di protezione individuale, non sono ancora stati effettuati, sugli anziani accolti e su tutto il personale che di loro si occupa, i tamponi di accertamento dello stato di salute.
Ciò che è stato fatto come strumento preventivo è stato merito della previdenza dei gestori delle strutture ai quali, sulla basa di un primo decreto ministeriale è stata lasciata libera applicazione dei principi di salvaguardia indicati in poche righe.
Nella struttura in cui presto il mio servizio di psicologa e psicoterapeuta, in seguito all’incipit ricevuto per l’attuazione delle misure preventive a contrasto della diffusione del contagio, pur garantendo agli anziani ospiti il mantenimento di un clima di normalità ed equilibrio,
sono state messe in atto misure estremamente restrittive a partire dall’assoluto divieto di accesso per le visite dei familiari e per l’approvvigionamento delle forniture (per le quali già da inizio marzo si segue un determinato protocollo), è stato predisposto uno spazio isolato da utilizzare per gli eventuali interventi di soccorso da parte del 118, il monitoraggio continuo e costante dei parametri vitali sia per gli anziani accolti che per l’equipe di lavoro e sono stati potenziati i metodi di sanificazione degli ambienti, il tutto supportato da efficaci azioni formative per fronteggiare l’emergenza in maniera più adeguata possibile.
Garantire il monitoraggio delle condizioni di salute di chi si occupa degli anziani avrebbe una duplice valenza: contenere l’eventuale proliferare dei contagi e contenere, cosa da non sottovalutare, le preoccupazioni dei familiari per la salute dei propri congiunti e, degli addetti ai lavori poiché ad oggi, nonostante le precauzioni già messe in atto, potrebbero essere gli unici vettori della trasmissione del virus nelle case di riposo.
Pertanto, sarebbe opportuno, al fine di effettuare un intervento efficace che in sé abbia il principio della prevenzione e del contenimento, volgere attenzione proprio a chi è chiamato a prendersi cura degli altri, in questo caso, al personale che opera in strutture residenziali per l’accoglienza degli anziani perché la vita è dono troppo prezioso, un tesoro troppo importante per essere perso senza aver fatto tutto il possibile per difenderlo.
La vita è vita, non importa se dopo un solo battito o dopo miliardi di battiti del cuore.
Dott.ssa Antonella Petrella
Psicologa Psicoterapeuta, Casa di Risposo Argentovivo, Campobasso