Nessuno si salva da solo: l’appartenenza e la separazione
Esistono nel complesso universo relazionale due dimensioni in antitetico dialogo tra loro,
quella dell’appartenenza e quella della separazione.
Due dimensioni presenti allo stesso tempo ed altrettanto necessarie che segnano, come
puntuali rintocchi di un orologio, il susseguirsi delle nostre fasi evolutive.
A livello personale ed interpersonale, ciascuno di noi, incontra lungo il proprio cammino
bivi in cui decidere di continuare sulla stessa strada o proseguire per un’altra nuova,
oppure in cui si è costretti a farlo, nostro malgrado.
Per esempio l’emancipazione dal nucleo della famiglia di origine, un importante
cambiamento dello status di vita, del ruolo ricoperto, un mutamento a livello lavorativo che richiede una drastica virata, la fine di una relazione sentimentale, un lutto, oppure il
sopraggiungere di una improvvisa, quanto spiazzante, epidemia che ci vincola e ci limita
nelle nostre abitudini e nelle nostre relazioni.
Appartenenza e separazione sono istanze tra loro in forte connessione nella misura in cui “la separazione è tanto più possibile quanto più vissuta all’interno di un’adeguata
esperienza di appartenenza” 1 . Parafrasando questa espressione e rendendola un po’ più fruibile: ci si può separare solo se ci si è appartenuti, e nel separarsi, volutamente o
meno, non si è indenni dalle criticità che la separazione porta in sé, la prima tra tutte
potrebbe essere l’interruzione di una continuità consolidata o anche il salto evolutivo verso un nuovo che non si conosce ancora e che, con ogni probabilità, intimorisce.
In questi giorni, il tema della separazione e del distacco sono più attuali che mai!
Ognuno di noi, nel vivere la quarantena o per le scelte della vita, ha lasciato qualcosa in sospeso, si è forzatamente separato da qualcuno o ha dovuto interrompere una qualsiasi attività che, in qualche modo, gli favoriva un personale stato di benessere (la palestra, il teatro, lo sport all’aria aperta, la frequentazione di luoghi di culto).
In questo periodo stiamo sperimentando la durezza del distacco ed il peso della solitudine.
In soccorso, per fortuna, arriva la tecnologia, la stessa tante volte bistrattata, che rende
meno dolorosa, anche se non la risolve del tutto, questa triste agonia.
Sui social spopolano gli screenshot di videochiamate di gruppo, in pose talvolta
improponibili e in momenti di vita molto privata, ma che è “concesso” condividere
all’esterno proprio perché raccontano la bellezza di sentirsi parte di un gruppo, di
appartenere a qualcuno, di essere, nonostante le distanze, vicini ed importanti gli uni per gli altri.
Appartenere è indispensabile per l’uomo come anche per molte specie animali, in gioco
c’è la vita.
Tuttavia, esistono molti modi di appartenere, tante maniere di esprimere un attaccamento verso qualcuno, alcuni sono complicati e possono addirittura procurare un latente stato di disagio e malessere.
E’ il caso della dipendenza da qualcheduno che priva sia chi ama, sia chi è amato della
libertà e probabilmente anche di un amore sano.
L’importanza della libertà e dell’ amore sano ce le ricorda il poeta Gibran quando scrive:
“Restate uniti, benchè non troppo vicini insieme, poichè le colonne del tempio restano tra loro distanti, e la quercia e il cipresso non crescono l’una all’ombra dell’altro.”
Ciò non significa però che bisogna tendere alla condizione di indipendenza.
L’indipendenza, per quanto se ne voglia dire, non è del tutto naturale per l’essere umano
né auspicata perché in sé nega il valore dell’altro.
Sarebbe meglio avvicinarsi ad un concetto probabilmente poco conosciuto e considerato, cioè quello di interdipendenza che invece postula una fondamentale relazione di reciprocità con l’altro.
Nell’ottica dell’interdipendenza e con uno sguardo che tenda al positivo, possiamo vivere questo tempo di prova come un buon esercizio proprio a riconoscere l’importanza di se stessi e dell’altro nella nostra vita.
Paradossalmente, se cambiamo prospettiva, mettendo da parte lo scenario avverso che
ogni giorno ci si prospetta dinnanzi, possiamo cogliere l’occasione per allenarci all’
interdipendenza in cui ciascuno si scopre capace di stare sulle proprie gambe ma, allo
stesso tempo bisognoso della presenza dell’altro per camminare senza vacillare.
Cosi, mentre la dipendenza è imprigionarsi in un legame eccessivamente vincolante,
l’indipendenza è l’illusione di bastare a se stessi, l’interdipendenza è riconosce
l’importanza dell’altro come fonte generatrice di vita per cui, essere interdipendenti
significa: scegliere di far parte di qualcosa, appartenere a qualcuno, uscire dall’isolamento e dall’auto-referenzialismo deprivante. Sentirsi molto di più della somma delle parti, creare una dimensione nuova in cui si vivano con reciprocità, riconoscenza ed appartenenza le relazioni prendendo contatto in maniera equilibrata con se stessi e con gli altri.
Il Papa stesso, nell’emozionante cerimonia tenuta in piazza San Pietro, durante il lockdown, in un silenzio assordante rotto solo dal tintinnio dell’acqua piovana che sbatteva sul selciato deserto, nell’affidare il mondo intero alla Misericordia sconfinata di Dio, ci ha ricordato con fare solenne e paterno che nessuno si salva da solo, «Ci siamo resi conto – ha detto- di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme».
Tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a
remare insieme. Tutti importanti gli uni per gli altri.
Se è vero che non tutti i mali vengono per nuocere, cerchiamo anche in questa
circostanza ciò che ci permetta di continuare a dare senso e speranza alla vita!
1- Roberto Berrini, Gianni Cambiaso “Figli per sempre. Capire e affrontare il distacco genitori-figli” Ed. Franco Angeli”