Cosa fai per stare bene?
La vita ci mette spesso di fonte a scelte.
Ci ferma davanti a dei bivi e lì sta a noi decidere quale direzione prendere.
Le indicazioni spesso indicano una strada che il cuore non vuole intraprendere anche se, nel profondo di se stesso, sa che deve farlo, per il suo bene.
La vita allora ci chiede di riprendere il passo, andare avanti, lasciare il passato alle spalle e di non voltarci indietro.
Nella mitologia e nelle sacre scritture sono diversi i passi che suggeriscono di non voltarsi quando si intraprende un cammino verso un obiettivo e di cambiare strada se quella già percorsa e conosciuta potrebbe rivelarsi sbagliata o pericolosa.
Il mito di Orfeo ed Euridice narra di due innamorati separati dalla prematura morte di lei a cui, dagli dei, viene concesso di ricongiungersi a condizione però che nella risalita dall’ Ade, Orfeo non si volti a guardare, prima dell’arrivo nel mondo dei vivi, la sua sposa ma Orfeo preso dal forte desiderio di Euridice si voltò e, come gli venne predetto, la perse per sempre, la vide risucchiata negli inferi senza possibilità alcuna di trattenerla.
L’aneddoto biblico della fuga di Lot e della sua famiglia da Sodoma racconta che Lot, fu invitato dagli angeli a lasciare la città prima che questa fosse distrutta e fu avvertito che lungo il cammino nessuno avrebbe dovuto girarsi, pena la morte.La moglie di Lot, spaventata e incuriosita da quanto stava accadendo, durante la fuga, contravvenne all’ordine ricevuto, si voltò verso la città e divenne una statua di sale.
I Magi, sempre secondo la tradizione biblica, dopo aver fatto visita al Bambino Gesù tornarono indietro per un’altra strada per evitare la persecuzione di Erode.
Nel Vangelo di Luca un passo indica di non voltarsi indietro quando si intraprende un nuovo lavoro: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Lc 9, 51-62). Il significato psicologico di quanto detto, potrebbe rintracciarsi nella teoria dei Quattro Codici della vita umana del mio amico e collega Ignazio Punzi, laddove parla del concetto di bisogno e desiderio.
Scrive Ignazio: “Chi permane nella logica del bisogno è simile ad un uomo che guida l’automobile guardando costantemente nello specchietto retrovisore: prima o poi si farà male e rischierà di farne anche agli altri. Si sta nella vita con gli abiti a lutto, concentrati su ciò che si è perso piuttosto che su ciò che sia e su ciò che può avvenire”[1].
Chi guarda indietro, nel timore di guardare avanti, nel ripianto di quanto lascia, sicuramente permane in un’ottica di bisogno che impedisce la sana scoperta di sé e del mondo. Un’ottica che limita la vita, a differenza di quella del desiderio che consiste “nell’avvertimento positivo di una mancanza che sospinge alla ricerca”[2], pertanto, l’uomo che vive la dinamica del desiderio è un uomo che sa attendere e sa mettersi in cammino, verso il compimento di sé e verso la possibilità di compiere un passo nuovo, senza voltarsi indietro aprendo dinnanzi a sè orizzonti nuovi,.
È importante imparare a non voltarsi indietro, resistere a tornare sui propri passi, quando tutto introno ci dice che non è quella la cosa giusta da fare per andare avanti, per non cedere alla paura del rifiuto, di un nuovo “no” a fronte della possibilità di nuove scoperte e tanti nuovi “sì”.
Talvolta la mente ci gioca dei brutti scherzi, ci fa credere, secondo dei pensieri e delle percezioni distorte, che tutto andrà male, come sempre è andato, che non ci sono speranze, che quello che non conosciamo è più spaventoso di quello che ignoriamo ed è per questo siamo restii al cambiamento.
Siamo restii a lasciare qualcuno o qualcosa che amiamo ma che, per chissà quanti motivi, non ci fa stare più bene e non ci rende più felici, per la sola paura di quello a cui andremmo incontro se lo facessimo: dopotutto è sempre più facile adattarsi in situazioni scomode ma conosciute che osare il nuovo e lanciare il cuore dove non si sa ancora cosa potremmo trovare.
Un pensiero praticamente automatico sibila nella nostra mente “E se poi va male?”, per quanto difficile dovremmo cominciare a dire “E se poi va bene?” (qui si apre tutto un altro capitolo che affronteremo più avanti).
Tuttavia, credo che un altro pensiero buono, sicuramente migliore del primo e una via di mezzo tra i due, che potremmo iniziare ad usare in maniera più o meno ironica ma come un primo passo in un nuovo cammino, potrebbe essere “ma può andare peggio di così?”.
A questa ultima domanda se la risposta fosse “no” allora avrei una buona motivazione per cambiare direzione e non voltarmi indietro e se la risposta fosse “sì”, ne avrei un’altra ancora migliore per cambiare strada senza ripensamenti.
Allora perché non provare?.
Come fare quindi quel famoso passo che rischia di farci perdere l’equilibrio ma ci permette di guadagnare terreno?
Direi che un buon suggerimento, ma sicuramente non l’unico, potrebbe essere quello di prendere una sana distanza da ciò che, nell’illusione di renderci felici, ci ruba la gioia.
Prendere le distanze talvolta diventa l’unica soluzione o quella migliore, per non perdere la testa o la strada, per scegliere bene al bivio.
Prendere le distanze da luoghi, persone e se necessario anche da sentimenti ed emozioni, specialmente quando questi cominciano a fare male, a legare e togliere la libertà, è l’unica possibilità per ritrovarsi interi e provare a rimettere insieme le parti spezzate.
Prendere le distanze nella consapevolezza della realtà, senza cancellare, reprimere e rinnegare.
Prendere le distanze, emancipandosi da qualcuno o qualcosa che vincola più o meno consapevolmente la nostra libertà passando (sempre citando il dott. Ignazio Punzi) dalla dipendenza all’interdipendenza dove l’altro non ci opprime ma ci si sostiene e ci migliora.
Prendere le distanze, nonostante le difficoltà, è scoprirsi capaci di farcela e scoprire che le relazioni più autentiche non solo quelle che puniscono o che legano ma che uniscono lasciando liberi.
[1] Ignazio Punzi, I quattro codici della vita umana, ed. San Paolo
[2] Massimo Recalcati, Ritratti del desiderio, ed. Cortina Raffaello