Prenditi cura di te
“Prenditi cura di te”, sono le parole che accompagnano alla porta una persona che ho accompagnato per un tratto del suo cammino e che finalmente continua da sola la sua strada.
“Prenditi cura di te”, nulla di più semplice da dire.
Nulla di più difficile da fare, specialmente quando in fondo al cuore, tra le cicatrici del tempo e quelle delle esperienze, fa capolino la paura di non farcela da soli. Di non essere abbastanza per cavarsela senza appoggiarsi a qualcuno e soprattutto, di non sentirsi degni di amore.
Cosa significa “sentirsi degni di amore”?
Cosa significa sentirsi degni di essere amati in un tempo in cui quasi tutto ha un costo e deve essere guadagnato?
Secondo la teoria dell’attaccamento, sin dalla primissima infanzia il bambino, in base all’interazione con le figure di riferimento, struttura i propri modelli operativi interni (MOI) attraverso i quali impara a rapportarsi con se stesso, con gli altri e con il mondo esterno.
I MOI che diventano ben presto inconsapevoli, tenderanno ad essere stabili nel tempo, facendo attribuire significati specifici agli eventi, anticipandone gli esiti(anche in maniera errata).
Questi modelli introiettati diventeranno una sorta di filtro della realtà attraverso cui saranno influenzati i comportamenti e persino le relazioni affettive che riproporranno, in maniera inconsapevole, la relazione interiorizzata con la figura di attaccamento.
Sulla base dei MOI il bambino svilupperà uno stile di attaccamento che potrà essere Sicuro o Insicuro, e in quest’ultimo caso: Evitante, Ambivalente o Disorganizzato.
Lo stile di attaccamento verrà mantenuto, con ogni probabilità, per tutta la vita a meno che, attraverso un percorso di conoscenza personale o un grande cambiamento del proprio punto di vista, si modifichi.
In ogni caso, qualsiasi sia il proprio stile di attaccamento, la teoria ci insegna che ciascuno di noi si costruisce un proprio schema mentale, in base al quale tende a di prevedere le modalità comportamentali dell’altro e come verrà trattato da lui.
Attraverso tale modalità la persona tenderà a selezionare le compagnie in base all’imprinting ricevuto, andando ad alimentare una sorta di circolo che il più delle volte, di virtuoso, ha ben poco, riproponendo le stesse dinamiche relazionali che portandano a confermare l’idea insicura e disfunzionale che si ha di sé e dell’altro.
Per esempio, se il bambino ha sperimentato un legame ambivalente o evitante, in cui la figura di attaccamento era presente in maniera intermittente o del tutto assente, tenderà a riproporre nelle relazioni adulte, lo stile di attaccamento assimilato.
Conseguentemente, in età adulta, nonostante si desideri al proprio fianco una persona accudente, che assicuri stabilità fisica ed emotiva, cercherà chi propone le modalità che già conosce, quindi intermittenti nel caso di ambivalenza o assenti in caso di stile evitante.
Inevitabilmente ne soffrirà e le sue convinzioni saranno confermate.
Ciò è valido anche nel caso ci fosse la presenza di uno stile disorganizzato, dove la persona può essere stata vittima di abusi e maltrattamenti. Nella ricerca del partner, con ogni probabilità, si imbatterà in una persona violenta, riproponendo nuovamente gli stessi schemi vissuti e dinamiche molto simili.
Ma perché tutta questa teoria?
Per aiutarci a capire come alla base della percezione della nostra amabilità ci siano le convinzioni che introitiamo da piccoli.
Pertanto, se nella nostra infanzia ci siamo sentiti inadeguati e non degni d’amore, tenderemo a sentirci cosi anche da adulti, favorendo comportamenti di dipendenza o al contrario, distanzianti.
Questi comportamenti influiranno nella relazione con noi stessi e con gli altri.
Nella mancanza di cura nei nostri confronti, non facendoci sentire meritevoli di felicità o della possibilità di cambiare, raggiungendola.
Avere cura si sé significa, prima di tutto, riconoscersi degni di ricevere amore ed essere i primi a concederselo.
Significa imparare ad amarsi.
Superare quella convinzione che, con un sottile ma penetrante sibilo, ci ricorda incessantemente di valere poco. Ci convince che l’amore lo dobbiamo guadagnare. Ci fa ignorare che la realtà non è sempre come la filtriamo. A volte, può essere migliore.
Avere cura si sé significa imparare che siamo meritevoli di ricevere amore anche senza dare nulla in cambio.
Ma come si fa ad amarsi se mai da nessuno ci siamo sentiti amati come avremmo voluto?
Sembra un’impresa difficile se non impossibile, tuttavia penso che non lo sia.
Innanzi tutto dobbiamo soffermarci a riflettere che c’è una grande differenza tra il non sentirsi sentiti amati e il non essere stati amati. Non sentirsi amati e non essere amati.
Il più delle volte ci fermiamo alla percezione e no alla realtà dei fatti, semplicemente perché su di essa abbiamo una visione limitata che mi piacerebbe aiutarvi ad ampliare.
Per riuscire in questo intento non serve altro che puntare i riflettori su se stessi e mettere a tacere quelle idee sbagliate che ci portano a generalizzare, assolutizzare o ad enfatizzare un fatto.
Se non ho ancora ricevuto l’amore che desiro non è detto che non lo riceverò mai.
Oppure non è detto che io non abbia mai ricevuto amore, forse semplicemente non l’ho saputo riconoscere.
È fondamentale rendersi conto che ognuno di noi esprime l’ amore con un linguaggio proprio, che, non necessariamente, coincide con il nostro, semplicemente confondiamo il non essere amati con il non comprendere le manifestazioni d’amore che l’altro ha per noi.
Comprendere questo è già un bel primo passo verso la meta di stare e sentirsi meglio, ma continuiamo il cammino.
Continuiamo il nostro cammino imparando un linguaggio diverso dal nostro, ciò ci aiuterà a dare una lettura più completa di quello che ci accade e della relazione che stiamo vivendo o abbiamo vissuto. Per fare questo chiediamo aiuto a Gary Chapman, uno psicologo americano che, in uno dei suoi libri, parla dei 5 linguaggi dell’amore.
Gary sostiene che ciascuno di noi ha un suo linguaggio personale con cui esprime cura e amore per l’altro. Spesso però ci limitiamo al nostro mentre dovremmo conoscere anche gli altri per comprendere la modalità del partener e soprattutto le sue buone intenzioni, spesso, invece fraintese.
Questi 5 modi per dire “ti amo” sono:
– le parole positive di affermazione, come i complimenti;
– il tempo di qualità che si dedica all’altro;
– il fare regali;
– partecipare ai lavori domestici o alle attività dell’altro;
– il contatto fisico.
Tutto sta a capire quale linguaggio sia il nostro, quale del nostro partener e tradurlo in quello che usiamo noi.
Meglio ancora sarebbe, senza aspettare di essere necessariamente amati da un altro, amarci per primi, avere cura di noi mettendo in pratica sulla nostra persona quei 5 linguaggi come se fossero suggerimenti o buone pratiche per stare meglio, quindi:
– usare parole positive di affermazione nei confronti di noi stessi;
– dedicarci del tempo di qualità facendo ciò che ci fa star bene;
– concederci dei permessi che ci facciano evadere dai nostri rigidi schemi mentali e, perché no, farci dei regali;
– fare qualcosa per noi;
– coccolare e curare il nostro corpo.
Quando impareremo ad aver cura di noi stessi ci daremo il valore che meritiamo, senza svalutarci.
Ci riconosceremo preziosi.
Saremo per noi “qualcuno” per cui vale la pena, o meglio la gioia di mettersi in gioco.
Riusciremo anche a riconoscere la cura che hanno gli altri nei nostri confronti ed apprezzare la loro presenza, senza pregiudizi.
Sapremo difendere la nostra libertà senza dipendere né scendere a compromessi.
Solitamente facciamo tanti torti a noi stessi, ma non possiamo permetterci quello di non amarci e di non avere a cuore la nostra vita.
Buon cammino verso l’amore di sé.