Invecchiare attivamente
A settembre nascono dei fiori molto belli, si chiamano “non ti scordar di me”, una legenda vuole che il nome prenda origine dalla preghiera di un fiore verso Dio. Un fiore, ancora senza nome, si rivolse supplichevole a Dio mentre egli stava dando il nome alle piante, gridando: “Non ti scordar di me, Dio!” e Dio rispose: “Quello sarà il tuo nome!”. Un’altra leggenda invece racconta che un giorno due innamorati, mentre passeggiavano lungo il Danubio scambiandosi promesse e tenerezze, rimasero affascinati dalla grande quantità di fiori blu, che venivano trasportati dalla corrente. Il giovane, nel tentativo di raccogliere alcuni di questi fiori per l’amata, venne inghiottito dalle acque, gridando “Non dimenticarmi mai!”. Qualunque sia l’origine del nome, oggi questa piantina, nel linguaggio dei fiori, assume il significato di amore eterno, che non teme una memoria talvolta destinata a morire. E’ curioso come questo fiore “del ricordo” germogli proprio nel mese di settembre, orami da molti anni dedicato ad una malattia dell’invecchiamento che ha, come sintomo principale, proprio la perdita della memoria: l’Alzheimer.
La demenza di Alzheimer è una malattia degenerativa che colpisce il cervello dell’anziano causandone l’impoverimento della struttura e nel funzionamento (Ladavas e Berti, 1995). attualmente non è ancora guaribile, tuttavia, è possibile con la diagnosi precoce, intervenire in tempo attraverso un approccio farmacologico e psicologico che ne contenga i sintomi e ne rallenti il decorso. L’Alzheimer è una delle demenze più diffuse, infatti, solo nel nostro paese gli anziani che presentano varie forme di demenza sono circa 1,3 milioni, tra questi, il 60% ha proprio una demenza di tipo Alzheimer. In Italia gli ultrasessantacinquenni che, all’inizio del secolo scorso, erano il 6% della popolazione, sono aumentati raggiungendo il 14% nel 1992 ed il 120% nel 2000. Dagli ultimi dati istat del 2016 gli ultrasessantacinquenni sono arrivati addirittura a 13,4 milioni cioè il 22% della popolazione totale, facendo guadagnare all’ Italia il primato tra i paesi europei.. Il fenomeno dell’invecchiamento demografico è dovuto, da un lato alla riduzione della natalità e, dall’altro, all’aumento della prospettiva di vita. Le persone che invecchiano oggi, hanno davanti a sé più anni di vita rispetto al passato, infatti, nel 1900, la vita media delle persone era di 45 anni, invece, nel 1991 è salita a 80 anni per le donne e a 73 per gli uomini. E’ necessario quindi informare ed informarsi su un fenomeno, come quello dell’invecchiamento, che ci riguarda direttamente e che nel versante patologico causa disagi non solo nell’anziano fragile ma, a tutto il suo nucleo familiare. Bisogna promuovere pertanto una nuova cultura che favorisca l’invecchiamento attivo e che nell’anziano ravveda non un peso ma una fonte inesauribile di ricchezza da valorizzare e sostenere nel migliore dei modi. E’ risaputo che, sia che si tratti di invecchiamento normale che patologico, l’anziano va incontro ad una “fragilità” dettata da limitazioni fisiche e motorie, per esempio l’andatura è più lenta, il passo è più corto, la postura meno eretta, i riflessi rallentati, il sonno frammentato di durata inferiore. Si osservano, inoltre, difficoltà nel memorizzare eventi nuovi, nella ricerca dei significati e dei nomi (Goldman e Cotè, 1994). Nel normale processo di senilità si riscontra: lieve smemoratezza, rallentamento dei tempi di reazione, labilità emotiva, distraibilità e difficoltà a seguire più cose insieme, stanchezza e riduzione di iniziativa (Ferreri, 1998). Nell’invecchiamento patologico invece, tutti i sintomi elencati prima si aggravano, la lieve smemoratezza diventa dimenticanza vera e propria, insorgono difficoltà nell’eseguire compiti noti, problemi linguistici, disorientamento spazio-temporale, riduzione delle abilità di giudizio e del pensiero astratto, cambiamento frequente e rapido del tono di umore, modificazioni comportamentali, perdita dell’iniziativa. Tuttavia, non tutto è perduto, infatti è stato dimostrato che, accanto a fenomeni di perdita di cellule e connessioni neuronali, tipiche del cervello senescente, sono conservate capacità riparative e rigenerative. Tali proprietà sono note col termine di “plasticità neuronale”. Per comprendere bene di cosa si tratta, potremmo immaginare la plasticità neuronale come un “pronto soccorso” costituito da cellule cerebrali che intervengono a riparare alcuni danni causati, anche dall’avanzare dell’età, assegnando e riadattando le funzionalità invalidate a zone attigue. Una ricerca, condotta dalla prof.ssa Petrosini dell’Università “La Sapienza” di Roma, confrontando la prospettiva e la qualità di vita di ratti in condizioni ambientali differenti, riscontrò che il gruppo sperimentale posto in una gabbia ricca di stimoli (scivoli, ruota, giochini vari) godeva di una salute migliore, più possibilità di riprodursi e di stare bene, rispetto al gruppo di controllo posto in un ambiente povero e privo di stimoli, i ratti nella seconda gabbia era maggiormente destinati ad ammalarsi e, ad andare incontro a una morte precoce. La variabile dell’esperimento era presenza di un background attivante a fronte di uno privo di ogni stimolo. Cosa significa riportando l’esperimento alla vita dell’anziano? E’ semplice, significa che dobbiamo favorire un ambiente stimolate in cui si possa invecchiare attivamente. Nell’ambito dell’invecchiamento attivo senza dubbio un ruolo prioritario è affidato alla sfera cognitiva, cioè all’esercizio delle funzionalità mentali. Diverse sono le ricerche che affermano l’efficacia dell’attivazione cognitiva per garantire un sano invecchiamento mentale e per prevenire o rallentare l’invecchiamento patologico. Cos’è l’attivazione cognitiva? L’attivazione cognitiva è una vera e propria ginnastica cerebrale che permette di allenare le funzionalità mentali migliorandone l’efficienza attraverso un trattamento specifico di memoria, attenzione, linguaggio, ragionamento e concentrazione. Lo scopo della stimolazione non è ripristinare le funzioni cognitive danneggiate, quanto piuttosto rallentare il processo degenerativo attraverso l’esercizio delle capacità residue in modo da poter mantenere l’autonomia personale dell’anziano il più a lungo possibile migliorandone la qualità della vita. In situazioni di deterioramento cerebrale l’attivazione prevede l’utilizzo di differenti metodiche di intervento, attraverso Tecniche Specifiche (Memory Training, Subject Performed Task, Spaced-retrieval, Category cue, Copy cue ecc.) e Tecniche Aspecifiche (R.O.T. – Orientamento alla Realtà, Validation Therapy, Terapia della Reminescenza, Terapia Occupazionale ecc). Tali tecniche si possono applicare attraverso un intervento individuale o gruppale stimolando in questo ultimo caso anche la dimensione relazionale! Un ruolo importantissimo infine, ma non da ultimo, va dato alla valutazione neuropsicologica in grado di inquadrare il problema fin dalle primissime battute e fornire non solo una sorta di “quantificazione” del danno mediante l’utilizzo di batteri die test psicodiagnostici ma anche stilare il programma per fronteggiare il problema. “Una stessa persona – dice Oliver Sachs – si può vedere come irrimediabilmente menomata o ricca di promesse e potenzialità” e queste buone pratiche, volte al miglioramento del benessere cognitivo e psicologico, sicuramente ci permettono, ottenendo risultati concreti, di avere una visione ottimista e colorata della vita, di rivalutare e sottolineare le potenzialità e le ricchezze racchiuse in ciascuno di noi anche quando abbiamo i capelli color argento.
Dott.ssa Antonella Petrella, psicologa-psicoterapeuta specialista in diagnosi e riabilitazione dei disturbi cognitivi