“Alle donne va rubato il cuore, non la vita!”
Il 2021 è cominciato da poco più di un mese e già si contano 6 donne uccise. Soltanto 3 nelle ultime 36 ore, in tutta Italia, senza alcuna differenza tra il nord ed il sud.
Nel 2020 invece, a fronte di un calo generale degli omicidi, le donne uccise nel nostro paese sono state 72. Circa il 50% dei femminicidi è avvenuto durante il lockdown.
Le donne sono state uccise principalmente in ambito affettivo e familiare. Nella maggior parte dei casi, quindi, l’assassino aveva le chiavi di casa e quelle del cuore.
Quelli presentati sono dati impressionanti ma è ancor più impressionante pensare che dietro ad ogni numero c’è un nome, una vita spezzata, una storia interrotta, un volto spesso sfigurato, orfani e famiglie dolenti che difficilmente si faranno una ragione di quanto accaduto.
In effetti, come si può comprendere un gesto del genere? Come sì può razionalizzare la scelta di una persona di togliere la vita ad un’altra. La scelta di un uomo di rubare la vita alla propria donna o alla donna che ha amato?
Un raptus, un gesto premeditato, l’illusione di risolvere qualsiasi problematica, sono alla base di gesti atroci, responsabili di rovinare la vita delle vittime e spesso di cancellarla.
Finisce la vita della donna che ha creduto fino all’ultimo che quello che stava vivendo, troppo simile ai fatti di cronaca nera chissà quante volte ascoltati, non stesse toccando a lei,
ma continua il dramma di chi resta.
Alla famiglia rimangono i giorni del dopo. Resta il vuoto dell’assenza della persona venuta meno, il silenzio di quando il clamore finisce, il buio dei riflettori che si spengono su un caso per accendersi su un altro.
Per chi resta, la perdita di un caro non è solo una notizia che passa al TG, non è il racconto, talvolta macabro, dei particolari del delitto, ma è una ferita importante, un’ improvvisa e sconvolgente rimodulazione della vita, delle abitudini e del futuro, è una profonda solitudine che si riempie di ricordi più o meno vividi, di voglia di giustizia e verità.
Sono anni che si parla di violenza, che si dipingono panchine di rosso ad emulare il sangue versato ingiustamente, che si manifesta nelle piazze, che si studia il fenomeno.
È stato addirittura istituito un codice rosso a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
Tante sono le campagne di sensibilizzazione, tante le iniziative in favore dell’informazione e del sostegno, tanti i centri antiviolenza nati per contrastare il fenomeno eppure, eppure ancora ogni 72 ore circa, le donne continuano a morire per mano di un uomo, di frequente quello che hanno accanto.
Cosa non va?
A fronte di tanto impegno da parte di istituzioni e professionisti, cosa non funziona?
Probabilmente la risposta non si deve andare a cercare troppo lontano ma quanto più possibile vicino al proprio cuore.
“Lascia stare”, “Non ci mettiamo in mezzo”, “Sono fatti loro”, “Meglio non esporsi”, “Se segnalo quello che succede ai vicini poi passo i guai anche io”, “ E se poi mi sbaglio?”, “Preferisco far finta di niente”, “Sicuramente anche altri sentono le urla e come me vedono i lividi e faranno qualcosa”, “Qui la gente è suscettibile, meglio non alzare polveroni” e cosi via con una serie ancora lunga di giustificazioni mai valide per tacere, mai giuste per non appurarsi che qualcuno sia in pericolo.
La paura di ripercussioni ci blocca dal denunciare, la stessa paura, con l’aggiunta di un sentimento, della promessa o della speranza di un cambiamento, blocca la stessa vittima impedendole di lasciare il suo aguzzino, di denunciare i soprusi subiti, di andarsene di casa, di ribellarsi e far valere i suoi diritti, di proteggersi e di salvarsi.
Cosa possiamo fare noi allora? Ciascuno di noi può fare molto.
Può non voltare le spalle, non fare finta di niente, non chiudere gli occhi e non tapparsi le orecchie.Può suonare il campanello della porta accanto. A volte il suono di un campanello è molto più forte di quello delle campane!
Quando una persona è a terra e non ce la fa a riprendere il cammino, ha bisogno di un’altra che la aiuti a rialzarsi.
Noi potremmo essere sia la persona a terra sia quella che tende la mano.
Se fossi a terra non vorrei forse che qualcuno mi aiutasse a rimettermi in piedi?
E se vedessi qualcuno a terra, impossibilitato a rialzarsi, non troverei forse il modo per dargli una mano?
Può capitare a tutti di trovarsi a terra o di essere dalla parte di chi può aiutare.
Proviamo a stare attenti.
Proviamo a fare rumore nel silenzio, ad accedere luci nel buio a dare voce alle parole non dette.
A suonare il campanello del portone accanto.
A prendere il telefono e chiedere aiuto.
Proviamo a stare vicino anziché allontanarci, proviamo a fare qualsiasi cosa piuttosto che restare indifferenti.
L’indifferenza uccide e ruba la vita come la violenza, ma alle donne va rubato solo il cuore, non la vita!