Conosciamo le emozioni (parte seconda)
Riprendiamo a parlare di emozioni, dopo averle conosciute attraverso la lettura dell’articolo precedente, ora proviamo ad approfondire il tema allo scopo di farle diventare compagne di viaggio.
Cominciamo dall’inizio… abbiamo letto in precedenza che i neonati manifestano le emozioni primarie di gioia, paura e ira, intorno ai 3 mesi si distinguono sentimenti di piacere distinti da quelli di sofferenza. Circa a 12 mesi il bambino esprime emozioni piacevoli suscitate in lui dall’ambiente circostante, a 18 rispondono in modo diverso di fronte ad un volto sorridente o spaventato e si evidenzia la comparsa della gelosia, dai 2 anni in poi cominciano a manifestare emozioni complesse come la vergogna fino a giungere i 5 anni, tempo in cui il bambino possiede un corredo completo di emozioni anche se non riescono a distinguere contemporaneamente due emozioni contrastanti. Dopo i 6 anni, grazie al processo evolutivo ed al confronto con gli altri, possibile specialmente in ambito scolastico, il bambino è in grado di comprendere con più sicurezza i suoi stati emotivi riuscendo anche a fingere le emozioni che prova ed a controllarle (Psicologia generale e dello sviluppo in tasca ed. Simone).
Per il bambino è fondamentale esperire tutte le emozioni ed avere anche la possibilità di farlo senza essere privato di quelle ritenute negative.
Poter vivere tutte le emozioni è come “farsi gli anticorpi” per affrontare la vita, quindi non è solo qualcosa di utile ma di necessario per il corretto sviluppo psicologico.
Aiutare un bambino a crescere in un mondo emotivamente equilibrato è diventata una sfida ed una necessità che coinvolge sia la famiglia che la scuola, oltre a tutte le alte agenzie educative, la parrocchia, il mondo dello sport, etc. etc.
Un compito alquanto complesso che interpella in profondità gli attori coinvolti e li chiama ad un impegno profondo, coerente e costante.
A fronte delle numerose difficoltà comportamentali ed emotive che interessano il bambino in ambito scolastico (basti pensare a demotivazione, aggressività, bullismo, incapacità di accettare le regole) risulta necessario prestare particolare attenzione al ruolo dell’emotività e favorirne uno sviluppo sano ed equilibrato.
Senza cadere in un’ottica riduzionista, potremmo rintracciare nelle cause illustrate di seguito, l’origine del disagio che molti bambini manifestano sul piano emotivo-comportamentale:
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l’attuale cultura edonistica (essa considera l’obiettivo primario dell’uomo il conseguimento del piacer, bene massimo, a cui si contrappone come male il dolore) che induce i genitori ad adottare uno stile educativo caratterizzato da negligenza, incoerenza ed eccessivo permissivismo;
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il propagare di un’ideologia della spontaneità che si contrappone a molte pratiche educative, considerandole una minaccia alla libertà ed alla naturalezza dei bambini;
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un’erronea interpretazione del concetto di autostima in cui si tende ad eliminare del tutto le possibili cause di mortificazione per il bambino considerandola negativa: per esempio i rimproveri qualora necessari o fargli assumere le responsabilità per i suoi errori. Invece, eliminando la frustrazione si elimina anche l’esercizio alla sua tollerabilità, causando nel bambino l’incapacità di contenere e gestire contenuti emotivi destabilizzanti e ciò concorrerà a favorire più che una stabilizzazione emotiva un vero e proprio squilibrio.
Lo scopo di questo articolo, è quello di sottolineare, senza la presunzione di esaustività, l’importanza della componente emotiva nello sviluppo cognitivo, sociale e relazionale del bambino prima e dell’adulto poi.
Ogni giorno, nel vivere quotidiano noi impariamo cose nuove, anche quando non ce ne accorgiamo.
Gli studi ci mostrano che l’apprendimento, in ambito scolastico come in altri ambiti, sia facilitato da un clima disteso e propositivo, cioè dalla presenza di emozioni “buone” che ci fanno stare bene, e dalla presenza di quelle “meno buone” se comprese e contestualizzate.
Facciamo un esempio chiarificatore: se un ragazzo viene interrogato e vive con eccessiva ansia o paura quel momento (oppure se il docente non lo mette a proprio agio), lo studente rischierà di non mostrare adeguatamente la sua conoscenza, nonostante abbia studiato. Diversamente, se è sereno e bene adattato in un ambiente accogliente avrà più possibilità di riuscita.
Dalle prestazioni scolastiche e dai loro risultati possono nascere una serie di sentimenti e stati d’animo che influenzano, in positivo o negativo, l’autostima di ciascun alunno.
Pertanto, a fronte di un rendimento buono o scarso, il ragazzo modificherà la percezione che ha di sé.
Nel caso questa sia positiva, affronterà le varie situazioni con la consapevolezza delle proprie abilità, mentre, in caso contrario, sarà proprio l’immagine negativa di sé a costituire per lui un forte ostacolo.
Bandura, uno psicologo sociale, scoprì con le sue ricerche sul tema, che gli studenti con un buon concetto di sé intraprendono volentieri compiti difficili e sviluppano interesse nelle attività scolastiche, dove, ottenendo risultati positivi e raggiungendo solitamente gli obiettivi prefissati, aumentano la loro soddisfazione incrementando ulteriormente questa percezione. Al contrario, quelli con un’autostima più bassa fanno più fatica.
Ovviamente non sempre si possono avere condizioni ottimali pertanto, quando queste mancano, è possibile rintracciarle modificando il punto di vista che comunemente abbiamo della realtà, il quale a volte risulta troppo pessimista o disfunzionale.
Come fare lo impareremo nel prossimo articolo…a presto