“Mare Fuori” una visione diversa per riflettere su quello che diamo per scontato
“Mare Fuori”, è una serie TV ambientata a Napoli. È diventata virale, soprattutto tra i più giovani (quando dico “più giovani” non mi riferisco solo agli adolescenti ma anche ai bambini ben distanti dalla preadolescenza) e ha catturato l’attenzione perfino di molti adulti.
La serie è stata vista, con coinvolgimento, in tutto il territorio italiano sebbene scelga di utilizzare, quasi esclusivamente, lo slang napoletano, un linguaggio non sempre facile da capire ma che favorisce, senza dubbio alcuno, il racconto della realtà, il trasporto empatico e l’emulazione. La psicologia spiega questo risultato attraverso l’effetto “mirror neurons”, cioè la capacità del cervello di sentire e imitare le emozioni e le azioni degli altri, generando un senso di empatia e connessione con il prossimo. Scene della serie, frasi e comportamenti sono diventati presto virali anche sui social, TikTok per primo, facilitando ulteriormente la diffusione del prodotto.
La serie racconta, con un linguaggio particolarmente “colorito”, temi molto delicati quali: la violenza, la devianza giovanile, le beghe familiari, la droga, la morte violenta, le difficoltà quotidiane che incontra chi non ha strumenti sufficienti per restare a galla, il desiderio di libertà e lo fa con estrema intensità e realismo. Tra le storie narrate c’è quella del baby-boss nato e cresciuto nella criminalità, convinto della correttezza delle sue azioni; quella del giovane dissidente che ha rinnegato la sua famiglia onesta, del ragazzo che frequenta compagnie sbagliate e si trova coinvolto in un reato e così via. Ogni protagonista racchiude in sé un articolato quadro psicologico che cela una grande complessità interna.
La serie mostra il lato più umano delle persone senza nascondere le colpe e senza giustificarle per quello che hanno commesso. Illustra inoltre luoghi e situazioni come la vita in un carcere minorile o dinamiche interne alla malavita che incuriosiscono il pubblico, per lo più estraneo ad esse e ignaro.
A “Mare fuori” deve essere attribuito sicuramente il merito di raccontare una realtà difficile attraverso un metodo innovativo che cattura e rende partecipe; il merito di offrire la doppia visione dei fatti. Infatti la serie permette allo spettatore di considerare punti di vista diversi sulla stessa vicenda, tenendo conto della visione adulta che rappresenta la regola ed i valori positivi, lasciando così lo spazio a chi fruisce della storia di crearsi una propria opinione.
A mio avviso però, è proprio nel merito di lasciare spazio allo spettatore, il rischio a cui espone questo prodotto televisivo. Si mostrano senza limitazioni, senza barriere protettive e reti di sicurezza immagini e contenuti che raggiungono anche bambini molto piccoli, i quali vengono trascinati dal vortice della moda del momento, senza essere spesso accompagnati dall’adulto il quale avrebbe, quanto meno, la funzione di mediare e spiegare. Il risultato è che i personaggi protagonisti di storie difficili, che si fanno autori di reati gravi, che perseverano nei comportamenti devianti, diventano idoli e paladini da emulare per gioco, o forse anche per davvero, perché, per chi si sente piccolo e debole rappresentano la forza di uscire fuori dalle righe e, nel bene o nel male, farsi notare. Il bene ed il male, concetti fondamentali da conoscere, nella serie hanno confini labili e confusi. Confini non sempre evidenti, soprattutto ai più piccoli ed ai più fragili.
Senza entrare nel merito dell’opera, mi chiederei se essere esposti senza protezione e riguardo a visioni come questa; fomentare e diffonderne i contenuti, favorirne la moda e l’emulazione faccia bene e sia un valido strumento educativo per le nuove generazioni.
Dalla critica, la serie non è stata tacciata di moralismo e retorica, io sicuramente sarò criticata proprio per questo, ma credo sia importante poter valutare più lati della stessa medaglia, applicando gli strumenti che si hanno a disposizione, come l’uso della psicologia, nel mio caso, e aprire una finestra di riflessione sull’opportunità di trasmettere un messaggio che, per quanto duale emerge nella trasgressione e non nel rispetto delle regole, tutelando, al contempo i più piccoli fruitori in parte o in tutto ignari di quanto vedono.