“Paura di restare”: comprendere e superare i meccanismi di difesa nelle relazioni affettive
Spesso, nelle relazioni di coppia, ci troviamo a fronteggiare una paura profonda, nascosta dietro comportamenti apparentemente inspiegabili.Avete mai avuto la sensazione di voler fuggire proprio quando la relazione sembra stabilizzarsi? Oppure, al contrario, di non riuscire a staccarvi, come se la vostra intera esistenza dipendesse dalla presenza dell’altro? Questi sentimenti contrastanti possono nascondere molto più di quanto immaginiamo.In psicologia, esiste almeno due concetti che possono aiutare a comprendere questo comportamento: il primo è l’organizzazione di significato personale di tipo Fobico, presente all’ interno della teoria delle organizzazioni di significato personale di Vittorio Guidano e il secondo è lo stile di attaccamento evitante, presente nella teoria dell’attaccamento introdotta da John Bowlby.
L’organizzazione di significato personale fobica di Guidano
Secondo la teoria delle organizzazioni di significato personale di Vittorio Guidano, alcune persone sviluppano un’organizzazione chiamata “Fobica”. Questo termine descrive un modello di pensiero e comportamento che oscilla tra due bisogni profondi e apparentemente inconciliabili: il bisogno di appartenere, di sentirsi parte di una relazione significativa, e il desiderio di libertà, di non sentirsi intrappolati o soffocati dall’impegno. Chi ha un’organizzazione di significato personale fobica può vivere un vero e proprio dilemma: da un lato desidera ardentemente una connessione intima, dall’altro teme che tale connessione possa minacciare la propria autonomia. È come se vivesse costantemente su una bilancia, cercando di trovare un equilibrio che sembra sfuggire sempre.Immaginiamo, ad esempio, Maria. Lei desidera avere una relazione stabile, ma ogni volta che le cose iniziano a diventare serie, sente un’ansia crescente che la spinge a mettere fine al rapporto. Maria probabilmente razionalizza questa paura convincendosi che l’altra persona “non è quella giusta” o che “ha bisogno di tempo per sé” o che “non sente il coinvolgimento che dovrebbe sentire”. Ma in realtà, la sua fuga è guidata dalla paura di perdere il controllo, di diventare dipendente e quindi vulnerabile. Questa oscillazione porta spesso a un ciclo di avvicinamento e allontanamento nelle relazioni: quando ci si avvicina troppo, scatta l’allarme e la persona si ritira, si distanzia, cercando rifugio nella solitudine. Tuttavia, quando la solitudine diventa troppo dolorosa, torna il desiderio di appartenere a qualcuno.
Lo stile di attaccamento evitante di Bowlby
Questa dinamica dolorosa e spesso estenuante, può essere ulteriormente compresa alla luce della teoria dell’attaccamento di John Bowlby, che distingue vari stili di attaccamento sviluppati durante l’infanzia in risposta alle interazioni con le figure di riferimento, tipicamente i genitori. Chi sviluppa uno stile di attaccamento evitante tende a bloccare e negare le proprie emozioni per paura di perdere il controllo e soffrire come ne ha fatto esperienza in passato. Queste persone hanno imparato a proteggersi da un coinvolgimento emotivo profondo per evitare il dolore che deriverebbe da una possibile perdita, spesso a causa di esperienze di cura poco rispondenti durante l’infanzia, tendono ad evitare relazioni troppo strette per paura di perdere il controllo delle proprie emozioni e di soffrire come è già accaduto in passato quando sono rimasti delusi e feriti proprio da una relazione significativa, sia pure in maniera non del tutto consapevole, con le figure di attaccamento. Marco, ad esempio, ha imparato fin da bambino a contare solo su se stesso. Ogni volta che percepisce un rischio emotivo, come l’inizio di un sentimento profondo per una partner, si chiude, si allontana o addirittura rompe la relazione, spesso senza una spiegazione apparente. Marco è convinto che lasciando per primo eviterà la sofferenza dell’abbandono. Tuttavia, questa strategia lo priva della possibilità di sperimentare l’amore e l’intimità autentici. Le persone con un attaccamento evitante tendono a essere molto indipendenti, ma questa indipendenza non è autentica, è in realtà una strategia difensiva. Come dicevamo precedentemente, quando la relazione inizia a diventare più intima, negli evitanti si attivano paure profonde, legate alla possibilità di essere rifiutati o di soffrire come è già successo e così, lasciano per primi, bloccano le proprie emozioni, negano i propri sentimenti. È come se ci fosse una voce interna che dice: “Non lasciarti coinvolgere troppo, altrimenti soffrirai.”
La lotta tra bisogno di vicinanza e paura della perdita: la rottura del ciclo disfunzionale
Le persone con un’organizzazione di significato personale fobica e uno stile di attaccamento evitante sono quindi intrappolate in una lotta interna. Da un lato, sentono il bisogno di una connessione intima, ma dall’altro temono di perdere la propria indipendenza e di essere feriti. Questo conflitto le porta spesso a sabotare le relazioni proprio quando queste iniziano a diventare significative. Facciamo un altro esempio, pensate a Sara, una donna di trentacinque anni, con una carriera di successo e una vita sociale attiva. Quando conosce Luca, sente un’immediata attrazione e iniziano a frequentarsi. All’inizio, tutto sembra perfetto, ma quando Luca comincia a parlare di progetti per il futuro, come vivere insieme o partire per un viaggio, Sara inizia a sentirsi a disagio. Comincia a mettere in discussione i propri sentimenti, si sente soffocare, teme di perdere la propria indipendenza. E così, decide di interrompere la relazione, pur sapendo che Luca è una persona che potrebbe renderla felice. Questa situazione è tipica di chi ha un’organizzazione di significato fobica e un attaccamento evitante. Sara desiderava una relazione, ma quando questa si è fatta più seria, ha preferito scappare, perché restare significava affrontare paure profonde legate all’intimità e al rischio di soffrire. Si può fare per rompere questo ciclo? Come si può fare? La buona notizia è che questo ciclo può essere spezzato. Innanzitutto, è importante riconoscere queste dinamiche dentro di sé, approfondire la conoscenza di sé stessi. Capire da dove provengono e come influenzano le nostre relazioni. Solo comprendendo le radici di queste paure è possibile iniziare a lavorare su di esse. Un primo passo può essere quello di accettare le proprie paure, senza giudicarle. Sono parte di noi, ma non devono necessariamente definire chi siamo o come viviamo le nostre relazioni. Potremmo chiederci: “Cosa mi spaventa davvero in questa relazione? Cosa temo di perdere o di soffrire?” .Queste ed altre domande mirate, oltre al desiderio ed alla volontà di interrompere un copione che troppe volte ci ha negato la felicità, possono aiutare a fare chiarezza e a iniziare un percorso di consapevolezza. Un altro passo è quello di esplorare queste tematiche in un percorso di psicoterapia. Parlare con un professionista può aiutarci a mettere a fuoco le vostre paure, a comprendere da dove vengono e, soprattutto, a trovare nuove modalità di relazionarvi con gli altri. La paura di restare è reale e può essere molto dolorosa. Tuttavia può essere intesa anche come una sfida da affrontare e superare. Si può imparare a gestire le paure, a costruire relazioni più sane e soddisfacenti. La strada potrebbe non essere facile, ma il risultato – la possibilità di amare ed essere amati senza paura – vale sicuramente lo sforzo.
Buon cammino, Antonella