Ti vuoi bene?: il dismofismo corporeo
“Ti vuoi bene? Certo che me ne voglio E come mai non ti prendi cura di te? …. Perché sono brutta. Cosa significa essere brutta? Avere tante imperfezioni Pensi che le altre persone siano perfette? No, ma penso che le imperfezioni degli altri siano perfettissime su di loro… Sono quelle imperfezioni a renderli belli e particolari? Si. E non credi che le tue rendano speciale te? Non ci ho mai pensato Possiamo provare a pensare questo da adesso? Proviamo….” (uno stralcio di terapia) Avete mai provato a prendere in mano un centimetro da sarta e misurare ad occhio la circonferenza del vostro punto vita? Fatelo. Segnate il punto della circonferenza che credete vi appartenga. Dopo di che misuratevi ponendo il centimetro all’altezza del punto vita. Che notate? Molti di voi noteranno di aver esagerato nel prendere le misure ad occhio, di aver valutato in modo distorto la dimensione del proprio girovita. Cosa significa? Significa che nel immaginare la propria circonferenza si è avuto un’immagine distorta di sé. Si chiama in termini tecnici: dismorfismo corporeo. Il dismorfismo corporeo è un disturbo catalogato nel DSM V tra i disturbi ossessivi compulsivi, quelli che favoriscono ed alimentano le idee disfunzionali. Si tratta di avere un’idea distorta e fissa circa il proprio corpo, di preoccuparsi in maniera eccessiva per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico che non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve. Il dismorfismo permette a tale preoccupazione di compromettere il funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti per la vita della persona. Alcuni studi epidemiologici hanno riportato una prevalenza di punto che va da 0,7% a 2,4%. Secondo tale prevalenza il disturbo di dimorfismo corporeo è dunque più comune di disturbi come la schizofrenia o l’anoressia nervosa (APA, 2000). Il disturbo è presente con una prevalenza che varia dal 9% al 12% nei pazienti dermatologici, dal 3% al 53% nei pazienti sottoposti a interventi di chirurgia estetica, dall’8% al 37% in soggetti con disturbo ossessivo compulsivo, dal 10 al 13% nei soggetti con fobia sociale e dal 14% al 42% in quelli con disturbo depressivo maggiore ( APA, 2014). A differenza di quello che si crede non è solo un disturbo al femminile e relegato all’adolescenza, inizia intorno ai 16 anni e se non trattato può mantenersi se non peggiorare ed interessa anche gli uomini con preoccupazioni legate ai genitali, per la massa muscolare o per l’altezza (APA, 2014). Un ricerca condotta da Scarinci e Lorenzini nel 2015 ha riscontrato che un’effettiva discrepanza tra la visione di sé e l’ideale dell’immagine corporea è correlata a sintomi e a sentimenti di insoddisfazione. Alcune caratteristiche della dispercezione possono inoltre determinare, oltre a un’instabilità emotiva, anche un modo di essere falsato che sfocia nell’isolamento dal mondo e dagli altri ed in rapporti inautentici. Questo accade perché nella persona con dismorfismo prevale come emozione la vergogna. La vergogna è definita l’emozione dell’autoconsapevolezza, si presenta come un senso sgradevole di nudità e di trasparenza nel senso che vorrebbe scomparire pur di non farsi vedere dagli altri. E’ un’emozione di forte intensità che determina dolore anche molto profondo, il pensiero associato è quello di sentirsi inferiori, profondamente giudicati e diversi da come si vorrebbe essere. Quando la vergogna è presente in concomitanza ad una bassa autostima viene seriamente minacciata l’identità personale, per cui, come dicevamo prima, si riducono i contatti sociali e quelli che restano in piedi sono fortemente falsati dal bisogno di essere accettati. Quindi il dismorfobico ha uno sguardo deviato ed alterato su di sé, vede ciò che agli altri è invisibile e lo vede perché su quel “difetto” percepito pone tutta la sua attenzione tanto da rendergli difficile, sen non impossibile, l’esistenza. Questa condizione disagevole è contrastabile con una terapia che favorisca la rielaborazione cognitiva e la critica agli errori di valutazione che dovrebbe portare all’accettazione della propria identità, vero problema sottostante all’espressione sintomatologica (Scarinci, Lorenzini, 2015). Pertanto dobbiamo rielaborare in modo costruttivo e positivo le nostre credenze, indossare occhiali che permettano uno sguardo nuovo…Tutto sta agli occhi con i quali guardiamo noi stessi, gli altri ed il mondo intorno a noi… pertanto impegniamoci ad avere uno sguardo più benevolo su noi stessi, e vedremo come tante cose cambierebbero forma e significato.
dott.ssa Antonella Petrella Psicolologa-Psicoterapeuta